Per l’uomo il cielo e le stelle sono stati fonte di curiosità fin dall’inizio della sua comparsa sulla Terra. Chissà cosa avrà pensato il primo essere umano senziente la prima volta che ha alzato lo sguardo verso il cielo profondo e misterioso. Un insieme di sensazioni si saranno mischiate insieme, paura e voglia si sapere, e sta di fatto che presto ci si accorse che quella palla luminosa si spostava nel cielo, e su quei movimenti l’uomo degli albori avrebbe regolato tutto il suo metabolismo adattandolo al giorno e alla notte: quella alternanza di luce e buio era il tempo di durata del giorno. Poi ci si accorse che i movimenti più lunghi del sole erano regolari e si provò a calcolarli stabilendo che l’anno era composto da trecentosessantacinque giorni. Lo fecero per primi gli antichi egizi con tre stagioni di quattro mesi ciascuna fatte da 360 giorni più cinque o sei giorni aggiunti alla fine dell’anno, tanto per fare tornare i conti. Noi ancora oggi, per lo stesso motivo, aggiungiamo un giorno ogni quattro anni.
Si era compreso che guardare il cielo poteva essere utile anche per le cose della Terra: così per regolare il tempo, i periodi di semina e magari prevedere qualche evento. Così quello spazio fatto di stelle iniziò a riempirsi di divinità, miti e chissà cos’altro, perfino di profezie catastrofiche.
Si comprese che quei puntini luminosi potevano essere utilissimi anche per tracciare rotte e poter avere riferimenti anche di notte per viaggiare non conoscendo ancora la bussola che sfruttava il magnetismo terrestre. Si iniziarono a cercare dinamiche e relazioni tra le stelle e si vide che una costellazione, quella dell’orsa maggiore, molto visibile e facilmente identificabile nel cielo poteva essere un riferimento per i viaggiatori ma purtroppo questa si spostava durante la notte. Partendo da quella si trovò, un po’ più in alto, una stella che sembrò proprio fare al caso: stava ferma nel cielo. Era stata trovata la stella polare che in realtà era non era fissa e immobile ma appariva immobile perché coincideva perfettamente con l’asse di rotazione terrestre. E le osservazioni del cielo proseguirono inventando costellazioni e attribuendole agli dei che da lassù erano capaci di determinare gli eventi di tutti gli umani. Guardando in alto si cercavano le risposte di ciò che accadeva in basso, magari cercando di favorire le bizzarrie e i voleri mutevoli delle divinità che lì vivevano. Una delle storie più famose è quella di Callisto, un’amante di Zeus trasformata in orsa da Era. Zeus la mise poi nel cielo come costellazione per proteggerla dalla gelosia di Era.
Secondo la mitologia Greca Orione era un gigantesco cacciatore che avanzava dal mare con la spada fiammeggiante, ed era così alto da toccare le stelle. Dopo la sua morte, ucciso da Artemide, trovò riposo in cielo insieme al suo cane Sirio. Orione è la costellazione di riferimento più antica tra quelle conosciute dai naviganti per tracciare le rotte. Giove rinnovato nel nome greco di Zeus è un pianeta rosso, Marte assume anche un posto in cielo e inTerra è il dio della guerra. Cieo e terra trovano connessioni e si pongono agli opposti, l’alto e il basso, e in alto vengono collocate le anime buone, il Paradiso , i Santi; nelle profondità terrestri, nelle parti oscure e infuocate dal magma Dante Alighieri e la tradizione Cristiana pone le anime dannate, dove il male sarà scontato in eterno.
Il cielo é da sempre una continua scoperta, fin dall’antichità un inesauribile scrigno di riflessioni per lo più filosofiche e teoriche, oltre che teologiche. Già gli antichi credevano a quel sistema geocentrico e gli studi teorici del filosofo greco Aristotele il Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e le stelle erano tutte in orbita attorno alla Terra. In tempi successivi il matematico Tolomeo teorizzò che tutte le sfere celesti vi ruotassero attorno con una serie di orbite perfettamente circolari. A queste teorie aderirono perfettamente quelle della Creazione del mondo cristiano con la terra al centro e tutto lo spazio visibile attorno. L’uomo, si confermò, era al centro di tutto l’Universo creato da Dio.
Nel 1543 un matematico polacco, Nicolò Copernico, compie una vera “rivoluzione”. Pubblica “De revolutionibus orbium coelestium” (Sulle rivoluzioni delle sfere celesti) affermando che al centro di tutto c’è il sole e non la Terra. Sostiene che sotto uno spazio finito di stelle immobili come un lenzuolo ci fossero i pianeti che ruotano attorno al sole con orbite circolari. Ma ancora i conti non tornavano seppure fu certo che da quel momento in poi bisognava cercare una nuova spiegazione al moto dei pianeti, possibilmente slegata dalla teoria filosofico teologica che fin lì era stata la regola. Ecco, proprio a questo proposito, la Chiesa non apprezzò per nulla questa eresia, tant’è che il corpo di Cartesio fu seppellito nella cattedrale di Fronbork in una tomba senza nome e ritrovato solo nel 2010.
L’opera di Copernico non rimase comunque senza conseguenze, infatti Giordano Bruno, un domenicano, dopo averla letta afferma che un dio infinito non può che creare un mondo altrettanto vasto e sconfinato, senza centro e senza centralità alcuna. Questa e altre sue dichiarazioni lo porteranno alla condanna da parte dell’Inquisizione: sarà arso sul rogo e al rogo in piazza Campo dei Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600.
Sulla infondatezza delle teorie cosmologiche basate su argomentazioni teoriche e testi religiosi solo pochi potevano avere dei dubbi ma nessuno aveva mai pensato che si potessero provare con dati di fatto. L’occasione arrivò con Galileo Galilei, un matematico pisano che insegnava a Padova. I pochi studenti del corso aumentarono a in poche settimane per ascoltare il nuovo professore che si fece costruire perfino un banchetto sopraelevato. Galileo Galilei sapeva coinvolgere, spiegare e parlare in modo comprensibile del firmamento e di fisica. Lui osservava il cielo con uno strumento nuovo di sua invenzione: il cannocchiale. In realtà gi era stato regalato un tubo con delle lenti, un attrezzo molto rudimentale che luì modificò con delle parti mobili e con nuove lenti fatte realizzare da maestri vetrai veneti. Lo donò perfino al Doge che quando dal campanile di San Marco lo puntò verso una nave in porto ne vide ogni dettaglio.
Galileo puntando il cannocchiale verso il cielo trasformò uno strumento militare in uno scientifico. Osservò per svariate notti la luna, le sue orbite e poi da lì anche le stelle, e ne prese accuratamente nota, disegnò accuratamente le fasi lunari, la superficie e i crateri, la parte in ombra. Nel suo “Sidereus Nuncius, sulla luna scrive: ” … da osservazioni più volte ripetute, siamo giunti alla convinzione che la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme e esattamente sferica …. ma al contrario diseguale, scabra, ricca di cavità e sporgenze …” Da quel momento in poi nacque l’astronomia moderna, basata su osservazione e misurazione degli eventi, e per sempre venne separata dall’astrologia, almeno in ambito scientifico. Ciò che non era visibile e misurabile non era più preso in considerazione ed era già più che evidente che le stelle non avessero relazioni tra loro, essendo enormemente distanti da noi e tra esse, e che la disposizione in costellazioni fosse solo una umana costruzione immaginaria e dovuta al punto di vista terrestre. Ciò nonostante la lettura degli astri rimane ancora oggi una credenza alla quale molti non rinunciano se perfino in tempi relativamente recenti, la vittoria delle truppe sabaude sui francesi fu propiziata dal cielo: durante la battaglia il sole, simbolo del Re diFrancia, sparì dal cielo mentre si rendeva ben visibile la costellazione del Toro, emblema della città di Torino.
Anche per Galileo la Chiesa cattolica non gradì il cambiamento di ordini celesti, non tanto per le conseguenze scientifiche ma per quelle provocate agli equilibri terreni. Non era facile per chiunque stravolgere una tradizione di quattromila anni nella quale si credeva alla unicità umana e alla sua centralità nell’Universo.
Galileo stavolta avrebbe potuto dimostrare facilmente ciò che diceva e lo aveva fatto in modo molto più comprensibile rispetto ai suoi predecessori, soprattutto di Copernico che in pochissimi compresero davvero attraverso i suoi scritti, inclusa la Chiesa. Sta di fatto che l’inquisizione lo processa e lo costringe alla nota abiura: ” Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633“. Nel suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Galileo rende in forma discorsiva e chiara il dibattito tra Simplicio e Sagredo: Il primo fautore della teoria tolemaico – aristotelica e il secondo sostenitore di quella del nuovo sistema fisico e cosmico prospettato sulla base dell’ ipotesi copernicana e della nuova fisica quantistica. Ovviamente nella disputa vince Sagredo. Eppur si muove! si tramanda abbia proniunciato Galileo dopo la sua ritrattazione.
Ma arriviamo al 1968. Un razzo del programma americano Apollo – ecco ancora gli dei- porta in orbita lunare tre astronauti che fanno ritorno sulla terra. L’Apollo 8 è la prima missione che porta degli esseri umani in un’orbita diversa da quella terrestre. La missione era ad alto rischio, qualunque errore di calcolo, anche di pochi gradi, poteva significare andare fuori rotta e perdersi nello spazio ma il controllo sui dati elaborati dal computer di bordo vennero fatti manualmente dall’equipaggio con un astrolabio. Le stelle tornavano ad essere ancora più che utili, anzi determinanti.
Il passato era ancora una volta futuro.